Del “Fior di pesco” nel ritratto – Assia (1955)

Avevo completato gli studi artistici all’Accademia di Belle Arti di Roma, ma in un primo tentativo di creazione di composizione libera (“La nascita di bimba” – olio distrutto) fu evidente che avevo interpretato stilisticamente in modo interessante il movimento dell’angelo annunziante, ma il volto era convenzionale, insignificante. Mi mancava una più approfondita esperienza del ritratto.
Non avevo studiato al Liceo artistico e nell’Accademia quella era considerata esperienza acquisita. Risultava necessario mi dedicassi al ritratto.
E fu così!… e accadde che…
Una mattina nella folla dell’autobus a me dinanzi apparve una testa bionda, davvero particolare. Un pulviscolo di capelli d’oro vi arieggiava intorno! Proprio quello che ci voleva per il mio angelo!
Otto giorni dopo nella sede antroposofica di Roma, un’anziana signora russa mi presentava Assia. Nel porgerle la mano, emozionata, le girai attorno per constatare da dietro se quella era davvero la testa “del pulviscolo d’oro”, che avevo avuto la ventura di vedere.
Si, Assia era dotata di una splendida treccia di capelli biondi, da cui, capricciosi, esplodevano lievi ciuffi dorati…

Assia Buscoi
Assia Buscoi

Assia abitava dall’amica russa, che era pittrice, e, su mio desiderio, fu possibile incontrarla lì.
Nella casa dell’amica russa, pittrice, vi era l’attrezzatura necessaria ed “Assia”, paziente, posò dinanzi alla mia tela, collocata su opportuno cavalletto.
Fu il mio primo vero ritratto, non in stile impressionistico (immediato e di rapida esecuzione), ma elaborato, meditato “Assia Buscoi”.
In questo ritratto incontrai il problema del “fior di pesco”, cioè il colore meraviglioso dell’incarnato femminile, particolarmente del tipo biondo-dorato.
La scollatura esile luminosa, nella posizione eretta della testa giovanile, mi fece sperimentare “grande purezza verginale”. Riuscii a renderla in una triade tonale di forme chiare, che ritenni geniale. Ne fui appagata.
Ma ecco che nelle mani affusolate, poggianti sul grembo, misteriosamente, si estrinsecò un fare acuto (direi felino) delle eleganti unghie.
L’autocritica giudicò anche “impuro” il vago fiammeggiare nello sfondo del quadro. Ritenni che la mia vitalità, ahimè, più passionale, non aveva retto all’ intensità di quella “verginale purezza”, che avevo percepito e rispecchiato nella creazione artistica. Ne accettai il “mea culpa”.
Ma accadde che…
In un ricevimento da me organizzato, un giovane dottore, innamorato di Assia, che davvero era bellissima, osservando il ritratto, per personale conoscenza dell’ispiratrice dichiarò: «È proprio così!» Né la sposò.
Assia venne poi a trovarmi allo studio con un signore anziano, intenzionato, forse, ad acquistare il quadro della fanciulla, di cui era ammiratore.
L’anziano signore dichiarò che … «non era somigliante».
Evidentemente l’atteggiamento fermo, cosciente di sé, che io avevo colto nel ritratto di Assia, a lui non era gradito, non assecondava il suo ideale di femminilità.
Né lo comprò.

 

Eliana Marzeddu
Eliana Marzeddu

Questo particolare carattere del busto, eretto nella spina dorsale, fu riscontrato ancora in altri miei ritratti (“Eliana Marzeddu”), in cui, pare, proiettavo qualcosa di me, una forza a me stessa sconosciuta.
Un’amica, critica di fine sensibilità, mi proponeva perfino di esporre uno di quei dipinti come mio Autoritratto (secondo lei, indispensabile in una mostra personale).
In seguito a questa esperienza ritenni di non essere dotata per creare immagini femminili, gradite ad eventuali acquirenti: non ero ritrattista!
Mi dedicai perciò esclusivamente alla ricerca del “fior di pesco” nell’incarnato femminile nordico. Vi riuscii in modo eccezionale nel ritratto di Rose Bittens Goldschmidt che mi appariva come trasparente, trasfigurata, spirituale.

Rose Bittens Godschmidt
Rose Bittens Godschmidt

E, molto più tardi, in modo insperato (fin nella terza dimensione – e con carattere espressionistico – nello sguardo asimmetrico profondo e intenso) nel ritratto di suo fratello (Gerhard Bittens).

Fu una vera e propria “ricerca” dell’incarnato ideale classico, a cui, con nuova vitalità ha aspirato in modo moderno, il “plein air” degli artisti francesi.(3)
La “teoria dei colori” di Goethe, interpretata e valorizzata dallo studio sulla “essenza dei colori” di Rudolf Steiner definisce “fior di pesco” il rosa luminoso dell’incarnato infantile e femminile che nella sua purezza ricorda la tenerezza del colore dell’albero primaverile.

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